archivioNel testamento redatto pochi mesi prima di morire Raffaello Caverni aveva nominato eredi universali i suoi cinque fratelli e i discendenti, lasciando loro tutti i propri beni, compreso l’archivio.

La famiglia elesse a conservatore dell’eredità manoscritta Egisto Caverni, figlio del fratello Giuseppe, e rifiutò la proposta dell’allora direttore della Biblioteca Nazionale di Firenze, Desiderio Chilovi, che avrebbe voluto acquistare, o almeno ricevere in deposito, l’intero fondo.

Negli anni successivi alla morte del Caverni, Filippo Orlando, che ne era diventato amico per la lunga collaborazione alla rivista «Letture di famiglia» della quale era direttore, cercò in tutti i modi di far acquisire le carte da una biblioteca pubblica, provando a coinvolgere anche Antonio Favaro, nonostante i pessimi rapporti che lo avevano allontanato dall’antico compagno di studi galileiani già molti anni prima della sua morte.

I tentativi, pur reiterati, non diedero alcun frutto, e le carte restarono a San Quirico di Montelupo in casa del nipote Egisto, rendendo di fatto impraticabile la pubblicazione della parte inedita della Storia del metodo sperimentale in Italia, che pure sarebbe stata nei progetti di più di uno studioso, ma avrebbe richiesto in loco un lavoro troppo lungo.

Negli anni successivi l’archivio fu trasferito per due volte in due diverse abitazioni a Montelupo, scampando prima agli accidenti indiretti della prima guerra mondiale, e poi a quelli diretti di un’alluvione del fiume Pesa, le cui acque avevano lambito i manoscritti conservati al piano terra.

Una seconda inondazione devastò l’azienda di famiglia ed Egisto Caverni fu costretto a trasferirsi a Prato, ma l’archivio dello zio restò a Montelupo, chiesto in pegno da alcuni parenti a fronte di un prestito in denaro che finanziasse l’apertura di una nuova attività.

Fu il figlio Lamberto a riscattarlo diversi anni dopo, e l’accortezza di portarlo con sé, sfollato nei sotterranei della pieve di San Pietro a Figline di Prato, lo salvò dal bombardamento americano che il 17 gennaio 1944 radeva al suolo casa e fabbrica.

Anni più tranquilli attendevano i manoscritti, una volta passati in mano del nipote Piero Caverni, ma i segni delle traversie patite erano ben profondi, e in certi casi irreversibili.

Per preservare l’archivio da ulteriori dispersioni, il Museo Galileo e Paola Caverni, figlia di Piero e attuale proprietaria, hanno stretto un accordo al fine di redigerne un catalogo completo. L’archivio non era mai stato ordinato, neppure prima di subire tante e tali traversie; le carte, non di rado prive di numerazione, erano state per lo più raggruppate per formato, mischiando opere diverse che si sono dovute ricostruire pagina per pagina; mani inesperte avevano isolato e disposto cronologicamente lavori preparatori e appunti, sottraendoli a una sorta di organizzazione tematica d’autore, che pure esisteva e si è potuta solo in parte mantenere; diffuse mutilazioni dovute ad asportazioni fraudolente o al cattivo stato di conservazione hanno reso impervio il lavoro di attribuzione, arrivando ad impedirlo, fortunatamente solo in casi sporadici.

Il catalogo dell’archivio è adesso l’ossatura della biblioteca digitale di Raffaello Caverni.