1807-1878

Figlio di un pittore di origini riminesi trasferitosi per insegnare disegno all’Università, nacque a Padova nel 1807. Studiò legge a Bologna, dove si era stabilito in tenera età con la famiglia, ma i suoi interessi lo motivarono più nel lavoro storico-erudito che nella professione di giurista. Bologna fu la città con cui strinse il legame più forte, vi respirò gli ideali del risorgimento e, nonostante la sua sentita religiosità, non si allineò all’ottusa intolleranza delle politiche papali. Spostatosi a Firenze, dove avrebbe sposato Virginia di Baillou di nobiltà fiamminga, collaborò all’«Antologia», entrando in contatto con Giovan Pietro Vieusseux e divenendone poi amico stretto.

Arrestato ed esiliato per ragioni politiche nel 1831, tornò a Bologna per ricomparire in Toscana dopo qualche anno. Soppressa ormai l’«Antologia» del Vieusseux, fondò «La ricreazione», che diresse per due anni. Iniziò presto a lavorare ad alcune opere di erudizione storica, fra le quali si segnalano L’assedio di Firenze illustrato con inediti documenti (1840) e i quindici volumi, usciti fra il 1853 e il 1863, delle Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato durante il sec. XVI. Diresse per alcuni anni la Società Editrice Fiorentina, che aveva contribuito a far sorgere, improntando il catalogo delle opere (stampate presso Le Monnier prima di dotarla di una tipografia propria) alla divulgazione dei classici della letteratura italiana, e alla diffusione di saggistica storica e politica per la quale assunse talvolta anche il ruolo di traduttore. Fondò e diresse il giornale a fascicoli «Il mondo contemporaneo».

Avendo assunto posizioni politiche più moderate e distaccate, si avvicinò alla corte lorenese, frequentando la nobiltà fiorentina e le personalità più in vista del tempo. Quando, in occasione della terza riunione degli scienziati italiani, il granduca Leopoldo II promosse il progetto di una nuova edizione delle opere di Galileo basata sui documenti raccolti nel fondo galileiano dell’allora Biblioteca Palatina, ne fu affidata l’esecuzione proprio all’Albèri, affiancandogli come consulente Vincenzo Antinori e come aiuti Celestino Bianchi e Pietro Bigazzi. Funestati da una bagarre pubblica sull’effettivo ritrovamento fra i manoscritti galileiani delle osservazioni delle Stelle Medicee, che travalicò i limiti di un polemica interna al gruppo dei curatori e portò alle dimissioni precoci dell’Antinori e del Bigazzi, i lavori si protrassero dal 1842 al 1856. Alla dilatazione dei tempi contribuirono le campagne belliche indipendentiste, che distolsero dall’impegno responsabili e collaboratori.

Politicamente giobertiano e neoguelfo, come traspare dallo scritto Del Papato e dell’Italia (1847), l’Albèri fu sempre federalista e fermamente contrario alle spinte anticlericali e unitarie. Arruolato volontario nell’esercito pontificio, combatté nella prima guerra d’indipendenza e trattò con gli austriaci la resa di Vicenza; ma durante la seconda guerra, se inizialmente aveva visto con favore l’allontanamento dei Lorena, si arrese poi ai propri sentimenti antiunitari e alla preoccupazione per l’indipendenza del pontefice, in contrasto netto con la politica piemontese e con le idee degli amici di una volta legati all’entourage del Vieusseux, che, pur non negando all’uomo l’antico rispetto, lo percepivano ormai come un clericale al soldo del Granduca.

Disilluso per le speranze sfumate di una restaurazione del Lorena in Toscana e afflitto dalla perdita della moglie e ancor più dalla morte del figlio Carlo, ferito irreparabilmente nella battaglia di Custoza, l’Albèri visse gli anni postunitari da cattolico integralista, partecipando ai congressi internazionali con posizioni antiliberali, preoccupato della salvaguardia dello Stato della Chiesa, del suo potere temporale e del dogma dell’infallibilità del papa.

L’Albèri filologo ed editore può dirsi l’opposto concettuale del Favaro, che mai gli risparmiò critiche, anche aspre e ficcanti. La sua edizione risultò così imperfetta, che si ritenne necessario rifarne di sana pianta una nuova a pochi decenni dall’uscita del suo ultimo volume. Progettata con «inconsulta fretta», oltre a un «continuo mutar programma» in corso d’opera, patì «la mancanza di preparazione dei curatori», i quali pareva al Favaro che stessero «studiando gli scritti di Galileo, via via che ne passavano sotto ai loro occhi le bozze di stampa». L’organizzazione tematica che ostacolava la contestualizzazione di opere e documenti, gli errori di trascrizione e i tagli arbitrari, le omissioni deliberate di molti materiali, le modificazioni che “profanavano” il testo, la soppressione di interi passi «dove l’autorità ecclesiastica risicasse d’essere offesa», resero inutilizzabile la cosiddetta «prima edizione completa», che completa non fu affatto, né seppe «appagare la legittima aspettazione degli studiosi». Eugenio Albèri morì a Vichy nel 1878.

Eugenio Albèri, 1807-1878