1813-1897

Nacque a Padova nel 1813 da una famiglia di estrazione popolare. Perso precocemente il padre, fu cresciuto dal nonno, che lo incoraggiò a studiare, fino alla laurea in ingegneria civile. Iniziata la carriera nelle Pubbliche costruzioni, si occupò del restauro delle porte cittadine e di svariate questioni idrauliche, ma giunto nel 1848 a un livello che avrebbe richiesto un giuramento di fedeltà allo Stato, rifiutò per arruolarsi nel corpo franco, influenzato dai sentimenti antiaustriaci respirati in famiglia e dalla frequentazione dei circoli liberali padovani.

In seguito all’esito infelice delle campagne belliche, l’esercito volontario venne sciolto e il Cavalletto, che vi aveva ricoperto ruoli di primo piano, sia militari che politico-diplomatici, tornò a Padova per dedicarsi alla libera professione pur di evitare coinvolgimenti con la pubblica amministrazione imperiale. Coinvolto nell’attività patriottica clandestina e nella propaganda mazziniana, fu arrestato e condannato a morte, ma la sua pena fu commutata in 16 anni di reclusione dal generale Radetzky, mentre molti suoi compagni come Bernardo Canal, Angelo Scarsellini e Tito Speri persero la vita fra i martiri di Belfiore. Visse recluso e in cattivo stato di salute dal 1853 al 1856, prima nella fortezza di Josephstadt e poi al Lubiana, finché la pena non fu sospesa in seguito ad amnistia.

Dopo un periodo a Padova alle dipendenze delle Assicurazioni Generali, divenuto ormai incline ad appoggiare i Savoia e la linea politica di Cavour, riparò a Torino dove proseguì le sue battaglie per l’indipendenza delle Venezie, animando il Comitato centrale veneto in rappresentanza degli emigrati.

A partire dal 1860 per alcune legislature fu eletto deputato. Nonostante certi dissapori che lo avevano portato a dimettersi dal Comitato, fece parte della commissione governativa per l’emigrazione, e durante la terza guerra di indipendenza, non potendo più combattere, svolse un’intensa attività di informazione militare, per la quale fu decorato, una volta liberato il Veneto.

Entrato nel genio civile come ingegnere, terminò la sua carriera da ispettore. Elemento di spicco della Destra, fu eletto più volte deputato con deleghe ai Lavori Pubblici, occupandosi in particolare della rete ferroviaria e di manutenzione e irregimentazione dei corsi d’acqua. Avverso al potere temporale della Chiesa, rivendicò Roma all’Italia. Morto Quintino Sella, si avvicinò a Depretis e in seguito a Crispi, di cui apprezzava la politica coloniale. Eletto senatore nel 1892, partecipò ai lavori nonostante gravi problemi di salute, a causa dei quali morì a Padova nel 1897.

Arruolandolo fra le personalità determinanti per la riuscita dell’impresa della sua vita, Antonio Favaro riconobbe ad Alberto Cavalletto («il quale in tutte le cose che accettava di patrocinare adoperava quell’ardore che attingeva nel profondo convincimento del bene, e nella certezza di far cosa utile alla Patria, da nessuno più che da lui amata») il merito di aver convinto il ministro della Pubblica Istruzione Michele Coppino a dargli personalmente udienza e ad ascoltare «tutte le ragioni che militavano in favore d’una nuova edizione delle opere di Galileo».

Alberto Cavalletto, 1813-1897