Nacque ad Arezzo dove iniziò in giovanissima età a lavorare in tipografia. Poco o niente sappiamo dei primi anni fiorentini, fino al 1851, data del suo ingresso alle dipendenze della Tipografia nazionale italiana di Beniamino e Celestino Bianchi. Quando alla metà degli anni Cinquanta i fratelli Bianchi associarono la propria azienda a quella di Gaspero Barbèra, il Colmignoli seguì i macchinari nel nuovo e più moderno stabilimento di via Faenza, dove fu prima compositore e poi proto dei compositori, riassumendo in sé le principali doti che Piero Barbèra, nel suo Elogio del proto, giudicava indispensabili al migliore svolgimento di quel ruolo: memoria, tatto e, soprattutto, ordine. Nel 1870 la casa editrice Barbèra aprì una succursale a Roma, da poco capitale d’Italia. Gaspero Barbèra volle affidarla al figlio primogenito Piero che, essendo appena sedicenne, fu posto sotto la tutela di Ferdinando Serafini, direttore della casa madre fiorentina. Giovanni Colmignoli fu quindi chiamato a sostituirlo, divenendo il braccio destro di Gaspero Barbèra e mettendo a disposizione le proprie qualità di uomo tranquillo, mai scalfito da scogli da superare o animosità da placare, tanto da vivere – ricordava ancora Piero che alla morte ne scrisse il necrologio – «sempre in buona armonia con i letterati, irritabile genus, e con i suoi subordinati; rara avis, ché spesso, pe’ più frequenti attriti, c’è meno buon sangue fra operai e proti, che fra operai e principali».
Ma furono soprattutto la sua abilità di tipografo acquisita fin dall’adolescenza e la sua preparazione tecnica a farne un professionista fuori dal comune, capace di trovar soluzione ai problemi più complessi, insuperabili per chiunque altro. Piero Barbèra citava in particolare l’edizione nazionale delle Opere di Galileo Galilei, della quale il Colmignoli diresse la composizione fino al XII volume, fra gincane tecniche e vincoli di budget, tanto da esserne angustiato persino nelle sue ultime ore di vita nei deliri della sua mente ormai farneticante. Quando nel 1902 i Barbèra decisero di cedere la tipografia alla ditta Alfani e Venturi e di mantenere solo la casa editrice, vollero che il Colmignoli, pur anziano e malandato, conservasse il suo posto di direttore tecnico. Antonio Favaro, esigente come pochi altri quanto al lavoro dei collaboratori, scrisse del Colmignoli: «Oltre a tantissimi suoi meriti, ebbe pur quello di aver coadiuvato con assiduità, pazienza ed intelligenza superiori ad ogni elogio nel condurre, per la parte che lo riguardava, questa edizione galileiana, la quale (sia detto senza immodestia) riscuote, e sotto ogni rispetto, la generale approvazione». Giovanni Colmignoli morì a Firenze nel 1909.