Nato a Verona nel 1865, studiò e si laureò nel 1887 a Padova, con una tesi su Brunetto Latini, della quale pubblicò alcuni stralci. A Firenze si perfezionò negli studi filologici e paleografici, seguito da Pio Rajna e da Cesare Paoli, lavorando su Albertino Mussato e Filippo Villani, per pubblicare poi numerosi materiali inediti sull’«Archivio storico italiano». Spinto da Adolfo Bartoli, si occupò di codici danteschi consegnando non pochi interventi al «Bullettino della Società dantesca italiana», che lo stesso Bartoli aveva contribuito a fondare. L’essere divenuto fiorentino d’adozione non cancellò la memoria della sua città natale, cui il Marchesini dedicò alcuni studi di varia erudizione veronese. Nel 1889 Isidoro Del Lungo ottenne dal ministro della Pubblica Istruzione l’autorizzazione ad assumere un «aiuto per i lavori attinenti alla critica del testo nella edizione nazionale delle Opere di Galileo» e su suo suggerimento il Marchesini fu nominato coadiutore letterario. Per assolvere a questo incarico chiese di essere esonerato dall’insegnamento, cui si era dedicato per qualche tempo.
Se con Isidoro Del Lungo la stima e l’affetto reciproci sfociarono in una familiarità così stretta che il Marchesini si rivolgeva spesso al maestro chiamandolo «padre», con Antonio Favaro la convivenza fu pesante. Diverso il modo di organizzarsi, infinitamente superiore l’energia fisica e mentale del Favaro, che non tollerando i tempi lenti e le lunghe pause, teneva in affanno costante il giovane collaboratore, sempre in difficoltà a destreggiarsi fra carichi di lavoro superiori alle sue forze e una salute cagionevole che lo avrebbe portato prematuramente alla morte.
Tutto ciò non diminuì mai l’apprezzamento del Favaro per le capacità e le competenze del Marchesini che, oltre a coadiuvare Isidoro Del Lungo alla preparazione dei testi, fu chiamato a sostituire Edmondo Solmi, considerato non all’altezza del compito affidatogli, come supporto alla redazione del poderoso indice dei nomi e delle cose notevoli. E nemmeno si scalfì mai nel Favaro quella vicinanza umana che nonostante tutto si era creata in anni e anni di collaborazione. «Per quanto aspettata, la notizia della morte del nostro assistente mi ha afflitto assai – scriveva al Del Lungo appena appresa la notizia della scomparsa del Marchesini – e ciò tanto più perché, cessato il motivo di quei piccoli attriti, avrei avuto in lui un amico sicuro, ché le nostre respettive debolezze conoscevamo ed avevamo finito per compatire». Umberto Marchesini morì nel 1910 a Ospedaletti in Liguria, dove si era recato nell’inutile tentativo di ristabilirsi. Fu sepolto a Verona e la lapide della sua tomba fu dettata da Isidoro Del Lungo.