1802-1874

Nato in Dalmazia a Sebenico nel 1802, studiò con uno zio frate e frequentò poi il seminario, prima a Spalato e poi a Padova, per iscriversi alla facoltà di legge, non senza aver approfondito gli studi classici, dedicandosi con profitto e passione alla loro traduzione. Gli incontri determinanti con Antonio Rosmini (del quale sarà anche ospite a Rovereto) e con Antonio Marinovich lo indirizzarono agli studi classici e filosofici, tanto che, una volta laureato in giurisprudenza, decise di non esercitare la professione per vivere di attività pubblicistica e letteraria. Dopo aver collaborato al «Giornale sulle scienze e lettere delle province venete», pubblicò varie edizioni di testi per l’editore Antonio Fortunato Stella, che raggiunse a Milano, dove incontrò anche Alessandro Manzoni. Affinati gli studi di lingua e letteratura italiana formandosi un’idea della funzione morale cristianamente intesa della poesia, fu fra i collaboratori dell’«Antologia» di Giovan Pietro Vieusseux e si trasferì a Firenze, dove entrò a pieno titolo negli ambienti cattolico-liberali e strinse amicizia con Gino Capponi e Raffaello Lambruschini. Celebri invece i contrasti con Giacomo Leopardi per l’inconciliabilità di due opposte visioni della poetica e del mondo in generale. I sentimenti antiaustriaci che animavano i suoi scritti sull’«Antologia» allertarono la censura, che in breve chiuse la rivista, e lo costrinsero nel 1834 a riparare in Francia, dove si legò ad Alessandro Poerio, esule anch’egli, ed entrò in contatto con Félicité-Robert de Lamennais. Durante l’esilio parigino pubblicò scritti pedagogici, politici e filosofici, accanto a testi poetici, tutti permeati da un forte senso religioso. Dopo un periodo a Nantes come direttore di un istituto di studi pratici e un soggiorno in Corsica, amnistiato, nel 1839 ritornò in Dalmazia, lasciandola quasi subito per Venezia, dove avrebbe trascorso i successivi dieci anni. Oltre a vari scritti filosofici, linguistici e d’occasione, la tipografia del Gondoliere gli pubblicò le prime due edizioni del romanzo Fede e bellezza. Senza mai rinunciare a lavori politici e di storia civile o pedagogici di ammaestramento morale, considerando superiore a quella colta l’autentica forza espressiva della lingua e della poesia popolare, stampò quattro volumi di canti popolari e un volume di poesie in lingua serba e croata. Confidando nel nuovo papa Pio IX e nella sua capacità di rinnovamento etico della Chiesa, lo spronò per iscritto ad abbandonare le smanie temporali per una dimensione religiosa tutta spirituale, e venne gratificato di un’udienza personale. Essendosi pubblicamente espresso contro la censura, fu incarcerato nel 1848 e liberato durante l’insurrezione del 17 marzo, che diede origine alla Repubblica di San Marco, di cui sarebbe stato ministro della Pubblica Istruzione e ambasciatore in Francia. Caduta la repubblica, nel 1849 riparò a Corfù, dove mise su famiglia. Trasferitosi a Torino nel 1854, ottenne una cattedra in un istituto di commercio e scrisse una biografia di Antonio Rosmini, con cui non aveva mai perso i contatti. Nel 1859 si stabilì a Firenze, dove in collaborazione con Bernardo Bellini lavorò al celebre Dizionario della lingua italiana, pubblicato dalla UTET a partire dal 1861, che non sarebbe tuttavia riuscito a vedere compiuto. Nonostante gravi problemi alla vista e una situazione economica non florida, continuò fino all’ultimo a lavorare senza posa, spaziando dalle memorie autobiografiche agli studi danteschi, dagli scritti politici alle traduzioni dei vangeli, dai consigli di bello stile agli ammaestramenti di costume, dalla storia civile alla produzione poetica, oltre a divenire membro della Società promotrice degli studi filosofici e letterari di Terenzio Mamiani e Domenico Berti. Contro le teorie evoluzioniste di Alessandro Herzen pubblicò dieci lettere su L’uomo e la scimmia, pubblicato a Milano dalla libreria editrice di Giacomo Agnelli, con un discorso sugli urli bestiali datici per origine delle lingue. Nei suoi diari Raffaello Caverni tenne la memoria di due visite a Niccolò Tommaseo nella sua casa del Lungarno delle Grazie: la prima, a seguito della stesura di alcune Osservazioni critiche che aveva scritto sulle note astronomiche di Giovanni Antonelli all’edizione della Divina Commedia commentata dal Tommaseo per l’editore Pagnoni di Milano; la seconda, avvenuta a circa un anno di distanza, fu per Caverni una delusione: ascoltare il Tommaseo che si rimangiava quanto detto in passato contro il potere temporale dei papi gli fece apprezzare ancor di più la compagnia della gente semplice di campagna. Niccolò Tommaseo morì a Firenze nel 1874 a seguito di un ictus.

Niccolò Tommaseo (1802-1874)