Di umili origini, Giovanni Antonelli nacque a Candeglia presso Pistoia e rivelò precocemente doti particolari nello studio. Pietro Panichi, fratello laico degli scolopi pistoiesi, lo mise in contatto con Giovanni Inghirami che intendeva farne un maestro elementare per le Scuole Pie fiorentine. Nel 1834 entrò novizio al Pellegrino e l’anno successivo iniziò gli studi in San Giovannino, dove ebbe maestri Numa Pompilio Tanzini, Eusebio Giorgi e lo stesso Inghirami. Nel 1836 vestì l’abito scolopio e nel 1840, dopo un’esperienza di secondo aiuto all’Osservatorio Ximeniano, sostituì l’Inghirami, malato, sulla cattedra di astronomia. L’anno successivo, presi i voti, fu maestro elementare prima in San Carlo in Oltrarno e poi in San Giovannino, dove ebbe allievi che avrebbero avuto carriere folgoranti, come Filippo Cecchi o Celestino Zini. Dopo un anno al Collegio di Cortona, fu richiamato a Firenze per supplire l’Inghirami, trasferito provvisoriamente a Roma, sulla cattedra di matematica superiore e alla direzione dell’Osservatorio, per succedergli poi definitivamente quattro anni dopo. Studioso eclettico più che vero e proprio astronomo, spaziò dagli studi ferroviari, alla meteorologia, alla termologia, all’idraulica. Si occupò attivamente di bacini idrici, con un progetto di bonifica del padule di Fucecchio e uno studio complesso sulla laguna di Orbetello, oltre a fornire l’analisi strutturale degli acquedotti di Grosseto e Firenze. Subentrò a Eugenio Barsanti, morto improvvisamente, nell’affare della costruzione del motore a scoppio, che tuttavia non andò in porto. Poco dopo, insieme a Emilio Bechi e Filippo Cecchi, progettò un nuovo motore a vapore per navi e treni, tentando invano di commercializzarlo. Morì a Firenze nel 1872. Raffaello Caverni, che aveva frequentato le Scuole Pie di San Giovannino nel periodo in cui l’Antonelli era insegnante e direttore dell’Osservatorio, nel 1870 compose alcune osservazioni critiche, rimaste poi inedite, sulle note di argomento astronomico con cui Giovanni Antonelli aveva collaborato all’edizione della Divina Commedia curata da Niccolò Tommaseo per l’editore milanese Pagnoni, osservazioni che tuttavia l’Antonelli non vide probabilmente mai.